Sasha Waltz & Guests

Teatro Eliseo
dal 10 all’ 11 ottobre 2012

Raccontare Sasha Waltz al Romaeuropa Festival con una pagina web od un post è praticamente impossibile. Lei è in realtà più che un capitolo di storia.
Ho scelto questo spettacolo: alternative certo non mancavano, per citarle Impromptus (2008), Dialoge 9 – MAXXI (2009), Continu (2013), Dido & Aeneas (2016), Kreatur (2017), Le sacre du printemps (2020), In C live (2022).

Ma  Travelogue I – Twenty to eight è un momento particolare, forse unico. Per il cast che vede in scena grandi protagonisti della danza, tra cui la stessa Waltz, Nasser Martin-Gousset, Ákos Hargitay/ Thomas Lehmen, Charlotte Zerbey, Takako Suzuki, e per il fatto di essere un lavoro che ha imposto la coreografa nel panorama della danza internazionale, più volte da lei ripreso, sulla scia di una diffusa e rivelatrice tendenza di molti coreografi a tornare sui momenti più significativi della loro carriera,
Travelogue presenta già nitidi gli elementi che rendono unica questa artista: la commistione di differenti linguaggi visivi – tra cui la tecnica del montaggio filmico e della recitazione del cinema muto -, l’insopprimibile fisicità del movimento, la vena ironica e surreale.

Coreografia Sasha Waltz
Musica Tristan Honsinger Quintett, Jean-Marc Zelwer (Le tourment de Vassilissa la Belle)
Danza Sasha Waltz & Guests
Scene Barbara Steppe
Disegno luci Tomski Binsert, André Pronk
La pièce è stata creata da e con i danzatori Nasser Martin-Gousset, Ákos Hargitay/ Thomas Lehmen,
Charlotte Zerbey, Takako Suzuki, Sasha Waltz

Co-produzione Sasha Waltz & Guests,Grand Theatre Groningen, NL con il gentile supporto di Senatsverwaltung für Kulturelle, Angelegenheiten/ Berlin, Fond Darstellende Künste e.V., Initiative Neue Musik Berlin e.V.
Sasha Waltz & Guests si avvale del sostegno di Hauptstadtkulturfonds in collaborazione con Goethe Institut e Teatro Eliseo

Un estratto video dello spettacolo

Travelogue ha il suo epicentro in una cucina, e come dice il titolo Twenty to eight appunto alle otto meno venti. «È il luogo – spiega Waltz – dove si incontrano cinque persone, e funziona da specchio di rituali, abitudini e comportamenti quotidiani così come realmente sono». Un contenitore di vita in comune, mentre la danza miscela ingredienti umani per farli erompere: la solitudine, l’amore nelle sue tinte più delicate o morbose, la compagnia, l’amicizia e l’egoismo, fino a una poderosa baraonda finale, a metà tra la festa e la litigata.

E l’impostazione di teatro totale dove anche la musica – una partitura originale di Jean-Marc Zelwer eseguita da Tristan Honsinger Quintett -, la scenografia e le luci sono basilari per costruire a tutto campo un polittico lucido da cui emerge senza pessimismo né ottimismo soprattutto lei, la vita.

……………….”Travelogue I- Twenty to eight è il primo dei tre diari di viaggio (seguiranno nel 1994 Travelogue II e nel 1995 Travelogue III) attraverso il quale la coreografa tedesca esplora la vita quotidiana di una comunità formata da tre donne e due uomini, che si incontrano in uno degli ‘spazi abitativi comuni’ per eccellenza, ovvero la cucina. Qui – alle otto meno venti – i personaggi si incontrano e dialogano, scandagliando i diversi rapporti interpersonali e i loro molteplici stati d’animo: la gelosia e l’egoismo, l’indifferenza e l’inquietudine, l’amore dolce e il desiderio passionale, da divorare all’istante. Il tutto attraverso un movimento studiato, ma allo stesso tempo vissuto con una leggerezza quasi spontanea, che parte innanzitutto dal gesto. Quest’ultimo è carico di humor, aggressione e sensualità, elementi fondamentali del lavoro coreografico.

Nell’utilizzo degli oggetti in scena ( come il frigorifero, il tavolo, il telefono, un letto, addirittura un pezzo di pane), scaturiscono i materiali di movimento dai quali i danzatori fanno partire l’azione, per la costruzione di un linguaggio espressivo ed emozionale che lascia spazio all’astrazione. Nella Waltz, infatti, il Tanztheatre espressivo tedesco, di matrice bauschiana (rivisto dopo la caduta del Muro di Berlino) si fonde con le visionarie e dinamiche traiettorie del post modern americano (con il suo movimento di contact improvisation) per un fluire dinamico.

La concentrazione è sui dettagli del sottotesto gestuale che consentono un intricato e ritmico disegno della nostra società. I personaggi sono ossessionati dalle loro stesse azioni, non riescono a trovare una via di uscita, finendo per essere vittime, come imperfetti eroi, delle proprie strutture sociali. La piéce ha, dunque, uno spazio ( dal quale è permesso osservare)e un tempo ben precisi, ricchi di simbologie e abitudini che fanno parte del nostro quotidiano. Ironica, frizzante e, mio avviso, geniale Sasha Waltz ci permette di scoprire i mille volti che un immagine può offrire. Come quando nel leggere un libro la nostra mente consente le sequenze immaginarie più variegate, così – innanzi alle sue coreografie – abbiamo la sensazione di partecipare all’azione attraverso il nostro vissuto, entrando in una connessione “mentalmente corporale” con il sottotesto del racconto.

La Waltz apre il nostro immaginario creativo, mostrandoci le sfumature, all’interno di uno spazio che cambia continuamente attraverso il sapiente gioco di luci. Le musiche del compositore Tristan Honsinger non si limitano ad accompagnare l’azione, ma sono parte integrante della costruzione immaginifica, mentre il montaggio delle sequenze rispetta i canoni cinematografici ( «a ispirarmi certi punti di vista e una tecnica del montaggio – confessa la Waltz- furono Un chien andalou di Buñuel e Fino all’ultimo respiro di Godard. L’Eliseo va benissimo, perché ricorda anche la struttura d’un cinema di tempo fa»).

I gesti sono studiati, ingranditi, esasperati per diventare danza: parlare su un frigorifero, aprire la finestra, portare la spesa in casa, cucire a macchina, e poi spogliarsi, rivoltarsi nel letto, piangere, domandare, ridere: si tratta di un crescendo, sempre più contagioso, dove ogni personaggio sembra danzare il proprio strumento. A noi non rimane che godere di ciò, sorridendo e riflettendo innanzi alla consapevolezza della nostra ‘follia quotidiana’.
Roberta Bignardi

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