Compagnie Maguy Marin

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Teatro Argentina
29 – 30 settembre 2015

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Agli inizi degli anni ‘80, preparando il “May B”, Marin si è confrontata con Beckett e questa coreografia è impregnata dello stesso senso del tragico, dell’umorismo e del cinismo redentorio che caratterizzano lo scrittore irlandese.
Ne è scaturita una coreografia che è oggi uno degli spettacoli più emblematici della danza contemporanea francese per la sua forza politica e filosofica. Sulle musiche di Franz Schubert e Gavin Bryars, dieci esseri dal viso imbiancato, in gruppo, in banda, in muta, comunicano, circolano, si scontrano. Riconciliando danza e teatro, gli interpreti recitano l’ironia dell’impossibilità del vivere insieme, si agitano nella tragica incapacità di restare soli. Nel repertorio della compagnia oramai da 35 anni, “May B” è stato rappresentato più di 700 volte in 5 continenti.

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Creato il 4 novembre 1981 al Teatro Municipale d’Angers
Coreografia Maguy Marin 
Musica Franz Schubert, Gilles de Binche, Gavin Bryars
Interpreti Ulises Alvarez, Kais Chouibi, Laura Frigato, Florence Girardon, Daphné Koutsafti, Johana Moaligou,Pierre Pontvianne, Ennio Sammarco, Marcelo Sepulveda Rossel, Véronique Teindas

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Costumi Louise Marin
Luci Alexandre Béneteaud
Coprodotto da Compagnie Maguy Marin, Maison des Arts et de la Culture de Créteil La Compagnie Maguy Marin è sovvenzionata da Ministère de la Culture et de la Communication, la Ville de Lyon, la Région Rhône-Alpes e riceve il sostegno dell’Istituto francese per i suoi progetti all’estero

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Il video dello spettacolo completo (1 h 23 min)
Un estratto (3 min 27 sec)

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Lavoro ironico e tragico, dall’atmosfera apocalittica, May B mostra la desolazione della condizione di una umanità ormai prossima alla deriva attraverso i versi e la gestualità dei dieci protagonisti, figure molto simili a larve umane, che si agitano e si muovono nello spazio, prendono vita, si animano e si spengono, in un alternarsi ritmico come il respiro. Dieci personaggi con il volto coperto da uno spesso strato di gesso bianco traducono, in una sorta di parata, situazioni grottesche, violente e angoscianti, momenti di vita quotidiana e di imbarazzante intimità. Un’umanità scossa da pulsioni sessuali primordiali, ora tenera e comica, alienata e assurda, crudele e confusa, pronta a tradurre in gesti il linguaggio musicalmente connotato di Beckett.

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Il silenzio si alterna a momenti musicali, da Schubert a Gavin Bryars e ad alcune parole, poche, sussurrate: un accenno da «Finale di partita» di Beckett, il motto usato da Hamm quando si appresta ad affrontare in solitudine il «vecchio finale di partita persa, finito di perdere».
May B, infatti, include citazioni di Aspettando Godot, Finale di partita, Va e vieni, Tutti quelli che cadono e frammenti di testi radiofonici di Beckett. Nella scrittura del drammaturgo irlandese si percepisce con estrema intensità il lavoro di corpi autentici: grassi, magri, bassi, alti, giovani, anziani.
La forza, la fisicità del suo messaggio permette alla danza di evocare quel mix riconoscibile di humour e tristezza che è la vita, l’esistenza umana.
I dieci performer sono alquanto lontani dai modelli di perfezione ai quali la tradizione ci ha abituato, sono avvolti in stracci, costretti in copricapi poco pratici, gonne ingombranti che sembrano ostacolare il fluire dinamico dei movimenti; potrebbero non essere danzatori, ma si riscoprono tali attraverso una gestualità estremamente semplice e primitiva: le loro azioni possono considerarsi una sorta di ricerca di una propria autonomia di linguaggio, la formalità del gesto non è data, ma costruita attraverso un attento “ascolto” e una sperimentazione della loro fisicità e dei loro limiti.

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In May B. prende vita e anima un’umanità impacciata e ingenua che si agita a suon di marce militari e richiami all’ordine (si pensi al fischietto iniziale) e attraverso la danza “si sente corpo, carne, vita”.
Il riferimento a Beckett e ad alcune delle sue opere si configura dunque non come mera interpretazione della partitura coreografica, ma come diretta conseguenza di un’analisi, prima danzata, della condizione dell’individuo: poter danzare, per poter essere – “Dance, dance otherwise we are lost” diceva Pina Bausch; la danza deve sottrarsi e poi costruirsi di nuovo, affinché il corpo tutto possa, finalmente, esprimersi. Maguy Marin ha affrontato la complessità della condizione umana, le sue contraddizioni e peculiarità, dando vita in modo intelligente a personaggi nei quali possiamo rispecchiarci, riconoscerci, sottolineando l’anima grottesca intrinsecamente legata all’essenza del genere umano. Il risultato è potente, ironico, ma anche feroce e tragicamente reale. 
May B. non è finzione, non è una metafora patinata, è dare voce e corpo al paradosso della vita, davanti a cui non possiamo fare altro che divertirci e ridere dei nostri patetici, piccoli rituali, fino al punto di piangere…

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